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Roma, Camera dei Deputati, 21 dicembre 2007
LEGGE ELETTORALE:
FORSE IL “MATTARELLUM” È L’UNICA VIA PERCORRIBILE
IN ALTERNATIVA AI REFERENDUM

Comunicato stampa di Marco Boato

1. I quesiti referendari e la loro funzione.

Sono membro (a titolo personale, non in rappresentanza dei Verdi) del comitato promotore dei referendum elettorali, presieduto da Giovanni Guzzetta, e ho partecipato con la mia firma al deposito formale dei tre quesiti in Cassazione. Essendo tuttavia anche un parlamentare (e per di più componente della Commissione Affari costituzionali della Camera, competente per materia), ho anche presentato molti mesi fa una proposta di legge (di due soli articoli) per abrogare integralmente la legge Calderoli e per far tornare in vigore nell’ordinamento la legge Mattarella, precisando nella relazione che a quest’ultima potrebbero poi essere apposte alcune limitate modifiche, in particolare per l’abolizione dello “scorporo” che ha consentito il fenomeno degenerativo di aggiramento attraverso le “liste civetta”. Senza l’incombente presenza dei quesiti referendari, sostenuti da oltre 800.000 firme e dichiarati legittimi dalla Cassazione, il Parlamento non avrebbe mai affrontato il compito di una radicale revisione di una legge elettorale rimasta senza padri né madri.

Il 16 gennaio 2008 la Corte Costituzionale dovrà affrontare il vaglio di ammissibilità (relatori i giudici Silvestri per il Senato, De Siervo per la Camera e Amirante per le candidature multiple). Personalmente, considero scontata l’ammissibilità del quesito sulle candidature multiple, altamente probabile quella del quesito sulla legge elettorale per il Senato, possibile (ma non scontata) quella del quesito sulla legge elettorale per la Camera.

Nella peggiore delle ipotesi, entro il 15 giugno si potrebbe essere chiamati a votare per un solo quesito (sulle candidature multiple); molto probabilmente il voto potrebbe riguardare anche il quesito per il Senato (come fu nel referendum del 18 aprile 1993, che poi produsse i suoi effetti anche sulla nuova legge elettorale per la Camera); non è escluso (uso molta cautela al riguardo, solo per motivi di prudenza metodologica e di rispetto per la Corte costituzionale) che si potrebbe andare a votare per tutti e tre i quesiti, che con alta probabilità vedrebbero il superamento del “quorum” di validità e una ampia prevalenza dei “si” (altrimenti non si capirebbe il timor panico che alcune forze politiche manifestano di fronte all’eventualità dei referendum).

2. Legge elettorale, riforme costituzionali, regolamenti parlamentari e legislazione “di contorno”.

C’è indubbiamente una stretta connessione - sul piano istituzionale e nel dibattito politico – tra legge elettorale, riforme costituzionali (in materia di forma di governo e di bicameralismo differenziato), modifiche dei regolamenti parlamentari e interventi sulla legislazione “di contorno” (soprattutto in materia di rimborsi elettorali, di finanziamento dei gruppi parlamentari e dell’editoria di partito).

Ma c’è anche una priorità logica e istituzionale. La riforma della legge elettorale deve comunque essere realizzata “a costituzione vigente”: con l’attuale numero di parlamentari e con l’attuale sistema di bicameralismo perfetto e paritario tra Camera e Senato. E’ ovvio che – qualora, come auspico, si arrivasse alla riduzione del numero dei parlamentari e al bicameralismo differenziato – si dovrebbe subito dopo mettere nuovamente mano alla legge elettorale, adeguandola alla diversa composizione numerica e alla diversa funzione di Camera e Senato (quest’ultimo a elezione indiretta, da parte dei consigli regionali e dei consigli delle autonomie locali).

Anche la modifica dei regolamenti parlamentari sarebbe comunque strettamente collegata al tipo di sistema elettorale introdotto (o dalla legge o in forza dei referendum). Non è quindi una questione così semplice ed immediata, come invece molti sembrano credere.

Un tema di grande rilevanza - ma finora poco dibattuto, e non per caso – riguarda anche la riforma della legislazione “di contorno”, che è una della cause principali della micro-frammentazione politica. Ma mentre i partiti maggiori sarebbero subito pronti ad elevare la soglia per poter avere diritto ai rimborsi elettorali, si metterebbero invece prontamente di traverso rispetto a una drastica riduzione complessiva, per tutti, degli stessi rimborsi (rispetto al cui dissennato aumento fui l’unico parlamentare ad astenermi).

Personalmente sono favorevole a completare tutto il percorso riformatore, ma – a parte la sopravvivenza del Governo, sempre precaria finora – bisogna essere consapevoli che è un percorso lungo e complesso e che assai probabilmente non potranno bastare gli 8-10 mesi di cui qualcuno parla con troppo ottimismo. Basti pensare a cosa potrà avvenire al Senato quando sarà stata approvata (come spero) la riforma costituzionale attualmente in Aula alla Camera, con l’elezione di un Senato federale come espressione del sistema delle autonomie regionali e locali.

3. Proposta Vassallo e proposta Bianco sulla legge elettorale.

La proposta Vassallo ha tenuto banco per mesi sui giornali e nel dibattito politico ( per lo più assai povero e generico), ma non si è mai affacciata alle soglie del Parlamento. In un certo senso, per semplificare brutalmente, è morta prima di nascere, e non ha lasciato molti rimpianti. In ogni caso, ho fortissimi dubbi che sarebbe stata in grado di evitare i referendum (se dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale).

Analogo esito, del resto, aveva avuto la proposta su cui, in precedenza, aveva lavorato per mesi il ministro Chiti, che avrebbe dovuto ispirarsi al cosiddetto “Tatarellum” (il sistema elettorale per le Regioni, prima della introduzione in Costituzione, nel 1999, della vera e propria elezione diretta dei presidenti e della autonomia statutaria).

La proposta Vassallo ha totalmente scalzato dalla scena politica la proposta Chiti (mai formalizzata in un testo normativo), e poi, a sua volta, è stata accantonata dalla proposta Bianco, formalizzata per la prima volta (dopo sei mesi di preannunci sempre rinviati) l’11 dicembre 2007, ma in un testo con diverse opzioni alternative, e quindi non ancora in grado di essere neppure adottato come testo base (il quale, com’è ovvio, non può contenere ipotesi normative plurime, la cui scelta è semmai demandata ai successivi emendamenti).

A fondamento sia della proposta Vassallo sia della proposta Bianco c’è comunque, di fatto, l’abbandono del bipolarismo, della governabilità garantita (o agevolata) dal premio di maggioranza nazionale o dal sistema uninominale maggioritario, della scelta preventiva, da parte degli elettori, del candidato primo ministro (sia pure solo indicato) e dello schieramento destinato a governare, se vincente nel confronto elettorale. Un netto arretramento rispetto a quanto ormai acquisito e “interiorizzato” dal popolo italiano sulla base di quella democrazia dell’alternanza, che l’Italia (in precedenza democrazia “bloccata” dalle contrapposizioni della guerra fredda e dalla “conventio ad excludendum”) ha cominciato a conoscere solo dopo il referendum del 1993 e la nuova legge elettorale Mattarella.

Un netto e drastico ritorno ai metodi della c.d. “prima Repubblica”, con una riesumazione immediata del lessico politico delle “mani libere” e una altrettanto immediata reviviscenza della politica neo-centrista “dei due forni”. A ben vedere, neppure le ipotesi di “grande coalizione” alla tedesca sono poi così lontane dalle politiche di compromesso storico e di “unità nazionale” della seconda metà degli anni ’70. La lunga e incompiuta “transizione” italiana dal vecchio al nuovo sistema politico e istituzionale non solo sarebbe drasticamente interrotta, ma si provocherebbe un salto all’indietro, con la pretesa sia di cancellare il referendum del 1993, sia di espropriare nuovamente i cittadini di qualunque effettivo potere di scelta (altro che il “cittadino-arbitro” a suo tempo auspicato da Roberto Ruffilli!). In ogni caso, anche la proposta Bianco, al netto delle opzioni alternative ancora da definire, non sarebbe in grado, a mio parere, di evitare i referendum (se dichiarati ammissibili).

4. “Heri dicebamus”: un ritorno alla legge Mattarella? Forse l’unica via percorribile in alternativa ai referendum.

Nel 2005 (con maggioranza di centro-destra), per molti mesi la Commissione Affari costituzionali della Camera (all’epoca presieduta da Donato Bruno) discusse, con spirito “bipartisan”, di alcune limitate modifiche alla legge Mattarella, allora in vigore. Il termine per gli emendamenti era scaduto a fine giugno e a settembre si sarebbe dovuti passare al loro esame e appunto alla approvazione di alcune modifiche concordate tra maggioranza e opposizione (di centro-sinistra). L’8 settembre (data infausta anche in questo caso), alla immediata ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, il presidente Bruno accolse immediatamente la richiesta dell’UDC di riaprire il termine per gli emendamenti (chiuso da oltre due mesi). La settimana successiva vennero presentati dai gruppi del centro-destra due maxi-emendamenti, che abrogavano e sostituivano interamente la legge Mattarella per Camera e Senato.

Dopo un’altra settimana, gli stessi gruppi presentarono un grappolo di sub-emendamenti (a loro volta, quindi, non più emendabili in forza del regolamento parlamentare): così nacque la legge Calderoli (allora ministro per le riforme istituzionali) che sostituì integralmente la legge Mattarella e cancellò in un colpo solo l’esito del referendum elettorale del 1993 (che era prevalso con l’82% dei “si”). “Ci hanno avvelenato i pozzi”, disse Romano Prodi prima delle elezioni politiche del 2006. “Abbiamo fatto una porcata”, disse, dopo le elezioni, lo stesso Calderoli. E poi aggiunse: “e per di più una porcata riuscita male”.

I quesiti referendari sono nati da tutto questo. Perché allora, dopo tanti inutili tentativi, non si sceglie la strada maestra di ritornare al punto di partenza? Una sorta di “heri dicebamus”: torniamo a dove eravamo arrivati fino all’8 settembre 2005.

E cioè: abroghiamo la legge Calderoli, facciamo tornare in vigore la legge Mattarella (che aveva dato buona prova di sé nel 1996 e nel 2001, a parte un più difficile avvio nella prima applicazione del 1994) e concordiamo alcune limitate modifiche, prima di tutto l’eliminazione della possibilità di “liste civetta” attraverso l’abrogazione del meccanismo dello scorporo. E’ la soluzione più semplice e più credibile (anche per i cittadini che l’hanno ben sperimentata con i collegi uninominali maggioritari e con la soglia di sbarramento del 4% nella parte proporzionale della Camera, superata da un numero assai limitato dei partiti).

A questa potrebbe allora accompagnarsi in modo credibile una modifica regolamentare, per impedire che gli eletti nei collegi uninominali possano successivamente frammentarsi in Parlamento. Tutto questo non sarebbe ovviamente la panacea di tutti i mali, ma sarebbe la soluzione più riconoscibile dai cittadini, più valida per mantenere e rafforzare la “democrazia dell’alternanza” e sarebbe anche, a mio parere, l’unica alternativa non strumentale ed efficace (accettabile a pieno titolo anche dai promotori) ai quesiti referendari.

Marco Boato
Deputato dei Verdi
Componente della Commissione Affari costituzionali e
della Giunta per il regolamento della Camera dei deputati

 

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